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Isole Egadi – Marettimo

Una macchia profumata lambita dal Mediterraneo

Fra i tanti luoghi del Mediterraneo che Ulisse ha beneficato con i suoi soggiorni — , almeno, con la pubblicità che ne ha fatto in seguito Omero — la piccola Isola Marettimo è quella che ha avuto meno fortuna. Nella discussa geografia omerica, infatti, è soltanto l a povera e brulla Isola delle Capre e questi ottusi, anche se utili, animali non hanno il dono di esaltare la fantasia.
Marettimo è l’isola più occidentale dell’Arcipelago delle Egadi (formato anche da Favignana e Lèvanzo) e la più distante dalla costa siciliana: 38 km da Trapani. Ma dell’Arcipelago è, senza dubbio, l’isola più bella, più intatta, più montagnosa, più ricca di sorgenti, più incontaminata, più selvaggia.

Geologicamente, si può dire che sia costituita da calcari cristallini biancastri e venati, cosi belli che gli abitanti, “affettando” con parsimonia qualche anfratto di collina, ne ricavano blocchi di marmo molto pregiato.
Questi blocchi di calcare cristallino sono, per costituzione ed età, coetanei a quelli che si trovano nella montagna di Èrice, alle spalle di Trapani. Èrice — sia detto per inciso — è anche il punto sopraelevato dal quale, soprattutto al mattino, quando il sole è alle spalle, si gode il più bel panorama su tutte le Egadi.

Secondo i geologi, Marettimo si è staccata dalla costa siciliana ancor prima dell’ultima glaciazione, periodo in cui Favignana e Lèvanzo erano ancora unite all’Isola. Quando Marettimo, cioè, si disgiunse dalla Sicilia (attualmente ne dista 38 km), Lèvanzo e Favignana rimasero collegate alla costa da un ponte,  da un istmo, sul quale passarono gli uomini e gli animali del Paleolitico per andare a rifugiarsi nelle grotte
della Pecora, dell’Ucceria, del Canalozzo, del Minguddi, della Giunta; o in quella straordinaria del Genovese, a Lèvanzo, dove incisero sulle pareti, con incredibile perizia artistica, figure umane e di animali.

Per tutto il Paleolitico, Marettimo, invece, rimase disabitata. Era troppo lontana per una razza umana che ignorava ancora la possibilità di servirsi di galleggianti per superare una qualsiasi distesa liquida. Fu raggiunta dagli uomini solo molto più tardi, nel Neolitico, quando sui mari comparvero le prime barche e nell’intelligenza umana nacque l a curiosità, o la necessità, di esplorare e di sfidare l’ignoto.

Per i nostri antenati l’Isola si chiamava Hiera o Hieromesus e sull’origine del nome si è discusso parecchio. Per alcuni la denominazione veniva dal greco ieros, sacro.
Nulla prova, però, che l’Isola fosse stata consacrata a una qualsiasi divinità. Per altri, invece, l’origine doveva ricercarsi in erakion, parola greca che indicava un’erba perenne, cespugliosa, ancora diffusa in molte regioni d’Italia, soprattutto in terreni rupestri.

Meno attendibile, infine, sembra la derivazione da hieratite, nome di un minerale grigio che si trova solo nelle fumarole dell’Isola Vulcano. Anche la denominazione attuale, Marettimo, è avvolta nell’incertezza.
L a teoria suggestiva è che il nome sia stato coniato per sottolineare l’abbondanza di piante di timo che crescevano fin sulla sponda del mare. Ogni altra interpretazione, tuttavia, potrebbe essere altrettanto valida.

Marettimo, dunque, è un’isola lunga complessivamente 7.500 m da Punta Mugnone, a nord-ovest, a Punta Basano, a sud-est, e larga circa 2.500 m. La forma è, all’incirca, quella di un quadrilatero — con qualche imperfezione agli angoli, perché la natura non sempre rispetta le linee rigide della geometria — che occupa una superficie di 12 km^.

Le poche case son tutte raccolte nell’unico villaggio dell’Isola, anch’esso chiamato Marettimo, dove vive un migliaio di abitanti. L’aspetto dell’abitato è tipicamente siculo-arabo: case basse, quadrate, con il tetto a terrazza, intonacate di bianco accecante, divise tra loro da vicoli sottili come tagli, quasi per costringere il sole a creare qualche filo d’ombra.

Lungo il mare corre una breve banchina, usata anche come parcheggio per gli scarsissimi automezzi che circolano nel villaggio, dato che, nell’Isola, l’impiego di qualsiasi mezzo di locomozione è reso impossibile dall’assoluta mancanza di strade.
Esistono solo alcune mulattiere da percorrere a piedi.

Poiché l’Isola è di natura rocciosa, l’agricoltura è impossibile. Gli abitanti sono in gran parte pescatori e molti di loro, a giugno, trovano lavoro nelle tonnare di Favignana e di Formica, due delle maggiori ancora in uso nel Trapanese. Le tonnare sono sempre state alla base dell’economia degli abitanti delle Egadi.

Anche per Marettimo, però, la soluzione di ogni problema economico potrebbe essere offerta da un turismo selezionato e organizzato. Purtroppo, come si diceva prima, Ulisse non sembra aver portato fortuna all’Isola.

Almeno fino a oggi. Esistono a Marettimo alcuni ottimi ristoranti dove si può assaporare un’eccellente “ghiotta marinara” (nome locale della zuppa di pesce) e dove si prepara, anche, un saporito kuskus di ispirazione araba. Ma chi può gustare questi piatti è solo il viaggiatore che si avvicina all’Isola a bordo di qualche imbarcazione privata e che ormeggia lungo la costa per provare le emozioni della pesca subacquea che, qui, può essere piacevolissima per l a trasparenza cristallina del mare e fruttuosa per l’abbondanza di prede.

Gli altri viaggiatori — quelli che arrivano con l’aliscafo o con l a motonave che collega l’Isola, tre volte la settimana, con Trapani — non hanno molte possibilità di soggiorno. L’attrezzatura alberghiera di Marettimo si limita, per ora, a una locanda e a qualche stanza d’affìtto nelle case dei pescatori. I campeggi sono inesistenti e il villaggio turistico, di cui si parla da tempo, è ancora un progetto da realizzare nella zona di Punta Libeccio, cioè sul versante occidentale dell’Isola che, prima di tutto, dovrebbe essere collegato al porto da una strada percorribile.

A parte Ulisse, del resto, il solo visitatore che sia rimasto a lungo a Marettimo è Guglielmo Pepe, generale napoletano, mandato qui in esilio dai Borboni nel 1803, ospite dell’antico fortino di Punta Troia, oggi trasformato in stupendo belvedere su un lungo tratto della costa. Del vecchio forte sono ancora visibili le tristi celle sotterranee che furono, per anni, il peggior carcere borbonico esistente nel Regno delle Due Sicilie.

Marettimo, proprio per il suo secolare isolamento, deve essere considerata tra le più belle e intatte isole mediterranee e la più interessante da un punto di vista naturalistico. Tolta la breve fascia costiera abitata, dove allignano l’onnipresente fico d’India e il frassino da manna, il resto dell’Isola è una massa lussureggiante di rosmarini, di euforbie, di lentischi, di eriche, di cespugli di lecci.

Questa macchia mediterranea, che in primavera si accende di tanti vivaci colori, raggiunge il suo massimo splendore nelle scoscese pareti occidentali, dove i picchi e le guglie contorte di roccia precipitano nel mare formando scogliere inaccessibili. I botanici hanno scoperto anche due esemplari di palme nane, abbarbicati negli anfratti più lontani e difficili da raggiungere e un superstite boschetto di pini d’Aleppo, rimasto intatto vicino alla sorgente Pegna.

Persino a Marettimo l’uomo talvolta non ha rispettato la natura, anche se l’ha tenuta in maggior considerazione che altrove. A i danni che l’uomo ha provocato, spinto sovente dal bisogno, vanno aggiunti quelli causati dagli animali domestici, come i maiali e le capre, che, con il passar del tempo, si sono inselvatichiti e sono usciti dai recinti per andare in cerca di cibo. È per questi motivi che si è salvata soprattutto la flora cresciuta sulle pareti verticali rocciose — meno accessibili —  e accanto agli orni, cioè ai profondi salti di roccia. Qui si scorgono ancora i cuscini formati dal caprifoglio delle rocce, i grandiosi cespugli di bupleoro a foglie di garofano e, più raramente, l’erica sicula.

Tra gli animali risultano presenti i gatti domestici inselvatichiti, i conigli, l’aquila del Bonelli, le monachelle nere, gli uccelli delle tempeste, che scivolano sulle onde lasciando penzolare le zampe (e che stanno diventando sempre più rari), i piccioni selvatici, i falchi pellegrini. Sembra del tutto scomparso dall’Isola, invece, il falco pescatore che aveva costruito il nido sotto il forte borbonico.

Appartiene ormai alla leggenda la grossa foca monaca avvistata e catturata nella Grotta del Cammello nel lontano 1901 . Resistono, invece, alcuni rettili: i l biacco carbonaro, un serpente nero e lucido, la tarantola mauritanica e l’emidattilo verucoso, gechi dalle dita allargate, che escono allo scoperto soltanto dopo il tramonto e frequentano le case a caccia di insetti sulle pareti.

L’Isola Marettimo, per la sua configurazione montuosa — il Monte Falcone raggiunge i 686 m — e per la mancanza di strade adeguate, non favorisce certamente chi è poco allenato alle lunghe e faticose escursioni. Cosi, la maniera più semplice e più spettacolare per vederne le straordinarie bellezze è quella di girarvi intorno con un’imbarcazione, affidandosi a un marinaio che conosca bene il mare e il gioco dei venti, che possono soffiare anche con violenza.

La barca consente, non solo di avere una visione completa delle ripide e altissime scogliere occidentali, ma anche di visitare l a pittoresca Cala Bianca, chiusa tra muraglie rocciose, di vedere sull’alto di Punta Troia (a 116 m s.l.m.) il castello borbonico, di penetrare nella Grotta del Cammello, in quella del Presepe — dalle bellissime concrezioni stalagmitiche — e nella vastissima e profonda Caverna della Bombarda.

…e ancora da vedere: paludi, laghi, isolotti e rocce sul mare

Capo S . Vito (TP) .

È i l punto terminale dell’omonima penisoletta che si protende tra il Golfo di Castellammare e i l Golfo
del Còfano.
Molto pittoresca è l a costa rocciosa, formata da calcari mesozoici, che, spesso, nella parte sud-orientale, strapiomba sul mare, e che si allarga a ponente in un’ampia piattaforma calcarea orlata di una bella spiaggia sabbiosa.

Dal picco roccioso del M . Monaco (532 m), sovrastante la penisoletta in prossimità del Capo S. Vito, lo sguardo abbraccia lo splendido panorama dei due golfi (f. foto pag. 436).

Isola d i Lèvanzo (TP) .

Lunga 5 km e larga circa 2, con una superficie di 7 km^, è costituita da rocce calcaree e da arenarie,
culminanti nel Pizzo del Monaco (278 m). Priva di sorgenti, è quasi del tutto brulla, salvo in un piccolo altopiano a forma di sella.

D i particolare interesse sono le numerose grotte preistoriche:
la più importante è quella del Genovese, che si apre nella omonima cala sulla costa occidentale. Attraverso un cunicolo naturale basso e umido, di circa 10 m, si entra nell’antro ornato di incisioni e pitture parietali che risalgono al Paleolitico e al Neolitico.
Molto ricca è la fauna ittica, che attira nell’Isola numerosi pescatori subacquei.

Isola Favignana (TP) .

È la maggiore e la più meridionale delle Isole Egadi. Lunga 9 km e larga 4,3, con una superficie di 19 km^, presenta scarsa vegetazione, ma è ricca di scorci panoramici lungo tutto i l suo sviluppo costiero.
Una costola montuosa calva, detta “Montagna Grossa” , la percorre da nord-ovest a sudest; culmina nel M. S. Caterina (302 m), e separa la breve pianura detta “la Piana” , a oriente, da quella detta “il Bosco”, a occidente.
Suggestivo il periplo dell’Isola (in barca, circa 35 km), che permette di ammirare le numerose grotte e le cale pittoresche L’Isola ospita la più importante tonnara della Sicilia.

Isole dello Stagnone (TP) ,

Sulla costa occidentale della Sicilia, fra Trapani e Marsala, si apre un golfo dai fondali bassissimi, da cui emergono le Isole dello Stagnone, piatte e appena affioranti.
L’Isola Grande, lunga 7 km e larga da 300 m a 1 km, si sviluppa in lunghezza da nord a sud quasi parallelamente alla costa siciliana formando i l Bacino dello Stagnone; nel suo interno si trovano l’Isola S. Maria e l’Isola S. Pantaleo. Quest’ultima, situata 8 km a nord di Marsala, ospita i resti dell’antica città fenicio-punica di Mozia.
Le saline dell’Isola Grande e il Bacino dello Stagnone costituiscono un luogo ideale per gli uccelli acquatici migranti. La vegetazione insulare presenta le tipiche associazioni delle zone mediterranee.

Lago Prèola (TP) .

Tra Mazara del Vallo e Torretta Granitola, la strada costeggia il Lago Prèola e i vicini Gorghi Tondi, piccoli bacini, di probabile origine carsica, ricchi di vegetazione palustre e ben conservati.
La zona di questi laghetti, come quella paludosa che si estende presso Capo Feto, è stazione di sosta per uccelli migratori, molti dei quali vi nidificano, e ospita anche una ricchissima fauna stanziale (v. folo).

Monte Còfano (TP) .

Promontorio calcareo risalente all’Èra mesozoica, a strapiombo sul mare, nel territorio di Trapani. La cima, alta 659 m, è raggiungibile in circa due ore di marcia, lungo una mulattiera che sale dal paesino di Scurati offrendo una bellissima vista panoramica sul Golfo di Bonagia a ovest, e su quello del Còfano a est. Un pittoresco sentiero, che corre lungo la riva , permette di compiere passeggiate ai piedi del Monte.

Il promontorio offre un elevato interesse ornitologico per la presenza di varie specie di falconiformi nidificanti nelle pareti a picco, ed è sede di stazioni vegetazionali rupestri; i fondali sono ricchi di un’abbondante fauna ittica [v. foto).

Paludi di Capo Feto (TP) .

Tra Marsala e Mazara del Vallo, la costa siciliana è quasi tutta costellata di dune, con un retroterra di pianure e di zone umide. Le Paludi di Capo Feto, bassissime sul livello del mare, si trovano vicino a Mazara del Vallo.

La loro vegetazione è composta soprattutto da giunchi e carici, mentre nei piccoli canali crescono anche canne palustri; qui, dove la vegetazione è più folta, vivono l a testuggine palustre, la gallinella d’acqua e
altri uccelli di canneto.

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