La rotta di Ulisse – Omero
Io, napoletano, amo il mare, Ne amo la “fisicità”. Ne amo l’intelletto, il mistero, le meraviglie. Ho sempre amato due grandi “marinai”: Ulisse e il capitano Acab. Il primo lo ha creato Omero, il secondo Herman Melville: un greco e un americano, Quella di Ulisse, è la lunga storia di un Ritorno. Quella di Melville, è la storia di una Caccia (la Caccia a Moby Dìck, la Balena Bianca). Una Caccia metafisica. Vengo a Ulisse. Riassumo le tappe del suo interminabile Ritorno.
La guerra di Troia è finita. Ulisse riprende il mare. Prima tappa: la terra dei Cìconi, una tribù della Tracia. Qui giunto, saccheggia Ismaro, una di quelle città. Ne uccìde tutti gli abitanti, tranne uno, sacerdote di Apollo, che gli regala dodici orci di un vino dolce e forte. Ulisse riprende il mare. Egli è un Reduce senza pace, Ha l’istinto del guerriero. La sua rotta verso Itaca (la pietrosa Itaca) è un sentiero insanguinato. Dopo i Cìconi, arriva tra i Lotofagi, sulla costa della Cirenaica. E’ un popolo gentile. Coltiva il frutto del loto, che fa perdere la memoria e il desiderio della patria. Nel corso della storia è capitato a molti reduci. Capita pure ai marinai di Ulisse; non a luì, che lì costringe a riprendere il bianco mare.
Arrivano in Sicilia, Quando uno dei Ciclopi, Polifemo, chiede il suo nome a Ulisse, questi gli risponde: “Nessuno”. Una risposta da mafioso ante lìtteram? Celare il proprio nome, per nascondere la propria identità? Il mattino dopo, Ulisse trafigge con un palo indurito al fuoco l’unico occhio del Ciclope: quel palo è la sua “lupara bianca”?
Sbarco all’Isola di Eolia. Dove Eolo, Re dei Venti, regala a Ulisse un otre che li contiene tutti. Ma scende la notte, Ulisse si addormenta e i suoi compagni, credendo che l’otre sia ricco di buon vino, lo aprono, e allora i venti si scatenano e rigettano la nave sulle coste eolie. Arrivo fra i Lestrigoni, popolo di giganti antropofagi, nel sud del Lazio, ai confini con la Campania.
Uccisione di un marinaio di Ulisse e lancio di enormi massi sulle navi: tutte a picco, tranne quella di Ulisse, che riesce a fuggire per il verde mare. Ridotto a una sola nave, Ulisse risale verso il nord e giunge all’Isola di Ea, l’attuale Monte Cìrceo, dove abita la maga Circe, che trasforma in bestie gli uomini dì Ulisse. Con l’aiuto di Ermes, questi libera i suoi compagni e rimane un anno con la maga da cui ha un figlio, forse due, forse tre. Ma, nella realtà effettuale, chi fu Circe? Qualcuno ha scritto (Alberto Savìnio) che essa è la personificazione dell’estetismo, lontana collega di Ida Rubinstein, di Greta Garbo, della marchesa Casati. L’anno che Ulisse trascorre nell’isola dì Circe è l’esperienza “dannunziana” dì un uomo di costumi semplici e schietti. Cantava Egammone da Cirene che Ulisse ebbe un figlio da Circe e che costei infine si maritò con Telemaco. Ingenuità degli antichi. Come se Ida Rubinstein e Greta Gabo fossero donne da far figli.
Da Circe al Regno dei Morti. I cupi spettri dei defunti. Le profezie. Il ritorno sulla Terra. L’incontro con le Sirene dal bel canto, nel Golfo di Napoli: Ulisse sì fa legare all’albero maestro; ma ordina ai marinai dì tapparsi le orecchie con la cera. Luì non se le tappa, L’ascolto di quel bel canto è privilegio non della ciurma, ma dei Grandi Signori. E le Vacche del Sole. E l’Isola di Ogìgìa, nell’Occidente mediterraneo. Vi risiede Calìpso, ninfa il cui nome equivale a “Colei che nasconde”. Ella promette a Ulisse l’immortalità. Ma sul naufrago prevale la brama del Ritorno, E, su ordine dì Giove, la ninfa acconsente alla partenza dell’amato. Gli da legname per costruirsi una zattera, e provviste per il viaggio, e gli ìndica su quali stelle regolare la navigazione.
Pare che gli amanti abbiano avuto tre figli. Creta, sotto il nome di Ogigia, passava per l’isola di Calipso; finché Victor Bernard, l’ultimo degli omeristi “geniali”, disse: “Ogigia a me sembra un epìteto: se l’isola dì Calìpso avesse avuto un nome suo proprio, questo nome sarebbe Ispania”. E ancora Savìnio: “Calipso abitava dunque nel remoto Occidente in un quartierino da scapola: l’equivalente di una garsonnière. E che cosa triste la vita dì questa ninfa zitella e solitària. figlia di un padre vecchio e pure lui tristissimo, re dei sollevatori di pesi (Atlante), che per punizione si regge il mondo sulle spalle!”.
Partito da Calipso, Ulisse naufraga sull’Isola dei Feaci. Questi sono un popolo strano, sul limite delle favole, dei miracoli; di qui a un passo si trova Itaca, la realtà sobria, forse un po’ amara. Qui, in quest’isola, c’è il palazzo di Alcinoo, dove Ulisse racconta la propria lunghissima avventura. Tutto quellio che racconta di sé è uno smascheramento di se stesso, un manifestarsi dinanzi ad amici che lo hanno accolto e ammirato, che hanno fatto causa propria della sua causa, che gli hanno promesso dì accompagnarlo a casa, solo che non sanno chi sìa colui per il quale sì addossano questo carico. Ciò che si svolge tra Ulisse e i Feaci, dall’arrivo alla presentazione, introduce il grande autosmascheramento. la lunga serie delle avventure favolose rispecchiate nella rimembranza. Quando Ulisse, ascoltato il consiglio di Nausicàa, sì getta ai piedi della regina Arete, il banchetto serale sta per finire. Rimane solo l’ultimo sacrificio a Ermete.
E intanto Ulisse, che non ha ancora rivelato il proprio nome, è già diventato ospite del re dei Feaci. poiché, nell’epoca della società gentilizia e dell’aristocrazia militare, il re rappresenta il volere della comunità. Così anche il forestiero. Ma Alcinoo già sospetta che il loro ospite non sia un mortale qualunque, ma un uomo straordinario. Ed ecco che, mentre il cantore Demodoco decanta le gesta dei guerrieri greci e teucri, Ulisse non riesce a frenare le sue lacrime. Allora l’agnizione è generale: l’uomo sconosciuto che sta alla mensa dei Feaci è l’eroe greco esaltato dal cantore. Lo ha rivelato egli stesso col suo pianto. E’ vicina, dunque, l’ora del Ritorno. E Ulisse arriva in patria travestito da mendicante. E’ l’ultimo mascheramento dell’eroe. L’ultima menzogna. Il tutto è avvenuto avendo il mare come magico scenario. Il Mare come mito. E come musica di sillabe celesti.
Luigi Compagnone
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