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Liguria territorio e specialità enogastronomiche

La Liguria, terra di contrasti, dove in pochi minuti si può passare dall’asprezza dei monti alla dolcezza delle riviere e i cui abitanti amano fare tutto da soli, la cucina vanta una tradizione dalle origini rudi e povere, ricca solo di ingredienti semplici: farina di frumento, varietà di verdure o olio d’oliva dalla terra, pesce azzurro dal mare.

Questi elementi fondamentali si ripetono e si ricompongono in forme e sapori diversi e peculiari; ma col tempo questa cucina si è andata raffinando e si è specializzata nell’arte di abbinare e armonizzare i vari elementi esaltandoli con la fragranza degli aromi fino a diventare una cucina spesso elaborata e ricca di ricette.

Donne che trasportano olive appena colte, in un quadro di Giuseppe Naudin, 1791-1872 (Museo Glauco Lombardi, Parma).

In realtà pochissime altre gastronomie offrono aromi e sapori così delicati, sapientemente amalgamati in modo che ciascuno di essi si armonizzi con l’altro pur conservando le proprie caratteristiche. Del resto basta citare, per avere una testimonianza concreta, il pesto che oramai è diventato una salsa internazionale.

Fra le specialità la focaccia ricopre senz’altro un ruolo di primo piano; dal nome antico che deriva da focus, focolare, la tradizionale fugassa ligure, prodotta in grossissime quantità dai fornai, nel Medioevo veniva mangiata in chiesa, accompagnata al vino bianco al momento della benedizione degli sposi.

In riviera al piacere di una focaccia tradizionale trasudante buon olio d’oliva o di quella al formaggio, tipica di Recco, si aggiunge, per gli amanti della tradizione, la gioia di gustare una vera farinata, piatto che affonda le radici nei secoli.


Le troffie, pasta tipica della Liguria, generalmente condita con il pesto.

Lunigiana

Nella Lunigiana invece troviamo focaccette cotte negli speciali cesti di materiale refrattario. Nella zona di Sanremo si trova la sardenaira, specie di pizza condita con pomodoro e sardine o acciughe, cipolle bianche, basilico e olive nere.

La storia dice che questa pizza era stata creata dal grande ammiraglio Andrea Doria, infatti viene anche chiamata “pizza all’Andrea”. Sempre con la farina di frumento sulla costa di Levante vengono preparati gli “sgabei” e i “testaroli”, dove i primi sono molto simili allo gnocco fritto emiliano, mentre i secondi prendono il nome dal testo, ferro di ghisa sul quale vengono versati mestoli di un impasto di acqua e farina conditi con il pesto.

Per quanto concerne la pasta, di cui va ricordato che a Genova si trovano gli antichi atti notarili attestanti il consumo di pasta sulle navi, si passa dai taglierini fatti con pochissime uova alle troffie, ai pansotti, ravioli con ripieno di svariate erbette.

Il basilico cresciuto al sole, le noci tradizionali, i pinoli, i funghi dell’entroterra: sono questi gli ingredienti per condire le pastasciutte e i ravioli. Le quantità di erbe e di aromi che si trovano sono una vera caratteristica di questa regione, che le utilizza nei modi più svariati, dalle salse alle torte.

Soltanto nei famosi mercati di Genova e località limitrofe si può gustare il “preboggion”, che è un mazzo di erbe commestibili nate spontaneamente e diverse secondo la stagione. Tra esse vi è un tipo di verza primaticcia chiamata “gaggia”, ossia borraggine, le erbette, la bieta ed il radicchio selvatici.
Con questo mazzo si prepara una minestra che viene condita con poco olio.

Sull’origine del nome ci sono diverse leggende, ma c’è chi sostiene che durante la prima Crociata i viveri erano molto scarsi e ad alcuni genovesi venne l’idea di raccogliere erbe e gettarle in pentola a bollire. A quei tempi la zuppa venne chiamata col nome del comandante in capo, Goffredo di Buglione, successivamente con alcune correzioni dialettali è nato il nome preboggion.

Sopra: una sala del Museo Carli a Oneglia. Sotto: la raccolta delle olive. In Liguria per tutti i piatti si utilizza solo olio d’oliva. In basso: biscotti del Lagaccio. Prendono il nome da un quartiere di Genova vicino al porto.

La mesciua

La “mesciua”, minestra tipica spezzina, risale a tempi lontanissimi quando la gente in periodi di magra non aveva in casa abbastanza fagioli per una fagiolata, né abbastanza farro per fare il pane, cosicché facevano cuocere tutto insieme rimediando un piatto unico ma consistente.

Le torte di verdure sono una squisitezza, preparate con borraggine e altre erbe spontanee, bietole, carciofi e zucchini, o patate e porri. L’impasto della farcia è legato da un uovo e da ricotta, con parmigiano, prezzemolo e maggiorana. La torta pasqualina è la più regale di tutte, che secondo il nome andrebbe mangiata a Pasqua.

Domenica 20 aprile 1930, giorno di Pasqua, il caporedattore del Lavoro di Genova, Giovanni Ansaldo, dedicò un articolo alla signora Carlotta, ostessa in sottoripa e alla sua torta pasqualina che Ansaldo riteneva essere la vera incarnazione della migliore tradizione gastronomica genovese.

Il pezzo, dal titolo “Le ventiquattro bellezze della torta pasqualina”, divenne talmente celebre che nel 1995 ne fu fatto un prezioso volumetto. Alla base c’è una semplice sfoglia fatta con farina, acqua e olio, ma qualcuno giura che queste sfoglie devono essere trentatré, in memoria degli anni di Cristo: oggi ne bastano molto meno.

Da conoscere sono i “gattafin” di Levante, ravioli ripieni di verdure che vengono fritti in olio d’oliva bollente. Da queste parti c’è l’arte della frittura a incominciare dalle frittelle di borraggine, a quelle di acciughe ripiene per finire con quelle di bianchetti o gianchetti (novellarne di acciughe e sardine).

Tanto olio e poco cibo. Tutti gli antichi popoli mediterranei rivendicano, ognuno attribuendole ai propri dèi, la scoperta e l’utilizzazione dell’olivo; ad esso era ed è tuttora legata una connotazione che si richiama ai simboli più importanti: pace, fecondità, forza, vittoria, gloria e perfino purificazione e sacralità.

Per gli Egiziani di seimila anni fa, spetta a Iside, “dea suprema” e sposa di Osiride, il merito di averne insegnato la coltivazione e l’uso.
Per la Genesi, la colomba liberata da Noè alla fine del diluvio ritornò verso l’arca con un ramo di olivo nel becco, a testimonianza del placarsi della collera divina.

I Greci, che affidavano la cura e il trattamento delle olive soltanto a vergini o a uomini puri, versavano olio sul viso dei morti, secondo riti orientali che trasformavano questo gesto in un simbolo di luce e di purezza, che avrebbe rischiarato le oscure dimore infernali.
Questa tradizione si ritrova tra i primi cristiani che trasformavano il rito dell’unzione in un momento di passaggio verso la pace eterna.

Olivo Liguria

L’olivo si conferma dunque per la cultura dell’area mediterranea l’albero più nobile e sacro. Un senso di sacralità che si percepisce istintivamente, tra suggestioni di memorie e quell’incredibile sottilissimo fascino della vitalità antica.
Sensazioni, quindi, esaltanti tra gli oliveti della riviera ligure di ponente, forti delle fragranze intense di erbe e fiori delle colline assolate che si affacciano sul mare.

Per capirne il fascino bisogna vederli e con le mani seguire le nodosità e le cavità, bisogna camminare nel grande silenzio di questi oliveti, lungo i sentieri antichi che millenni di fatica, di ingegno e di amore hanno tracciato su queste colline della Liguria.

Non è un caso che proprio a Imperia-Oneglia esista un museo dedicato interamente all’olivo, alla sua storia e alla sua valenza simbolica: questo museo nato dal grande amore per l’olivo da parte della famiglia Carli che da inizio secolo, insieme all’attività di produzione e vendita, aveva raccolto oggetti di ogni epoca e di tutto il mondo.

I liguri, essendo poveri di ampie distese coltivabili, hanno compiuto un lavoro certosino creando strette terrazze prospicienti il mare, dove si pratica una viticoltura antica e amorosa, in grado di offrire un prodotto limitato, ma di ottima qualità.

Nella riviera di Levante dai piccoli vigneti di Bosco e Albarola si incominciò a ricavare un vino bianco secco e dal profumo delicato, il Cinque Terre, che accompagna bene la cucina di pesce dei paesi rivieraschi. Ottenuto dalle medesime uve, ma leggermente appassite, è la Sciacchetrà, dal colore ambrato e dal gusto variabile che generalmente si consiglia con dolci e biscotti.

Agli inizi del XIV secolo era celebre un vino liquoroso che aveva il nome di Vernaccia delle Cinque Terre e che probabilmente assomigliava al vin santo. La sua produzione si concentrava soprattutto a Corneglia, ma non dovevano essere escluse del tutto le zone di Vernazza e Monterosso; a questo proposito, alcuni studiosi ritengono che il nome di Vernaccia derivi proprio dal porto di Vernazza, mentre, per altri, fu il commercio di tale vino a determinare il nome della cittadina delle Cinque Terre.

La raccolta del basilico in una miniatura del XIV secolo (Biblioteca nazionale, Vienna). Qui sotto: tipica specialità della Liguria, la cima ripiena per la quale si conoscono ricette varie secondo gusti e paesi. Una delle tante prescrive filoni di vitello, piselli, uova, prezzemolo tritato e parmigiano; aggiungendo, per una nota di colore, una carota lessata.

Riviera di ponente e vino

La riviera di Ponente vanta la produzione di un buon vino rosso da tavola, il Rossese di Dolceacqua dal colore rosso rubino e dal piacevole profumo; nella provincia di Imperia troviamo un altro vino rosso dal gusto secco, leggermente amarognolo denominato Ormeasco. Tra i bianchi vanno menzionati il Pigato della piana di Albenga e il Vermentino.

Il vino bianco di questa terra accompagna bene il pesce che in Liguria viene trattato veramente in tutte le salse: dalla “burrida” (fricassea di gronco o seppie con acciughe salate, piselli, pomodoro, vino bianco e sapori) all’insalata di gianchetti o bianchetti, e dalle acciughe che vengono preparate in svariati modi. E poi c’è il “polpo” che a Lerici e Tellaro è diventato famoso.

Una vecchia leggenda racconta come una notte la campana della chiesa di Tellaro, si trova quasi sull’acqua, incominciò a suonare improvvisamente. La gente di limone. A Badalucco lo stoccafisso viene cotto due volte con sugo di pomodoro, verdure, funghi, noci e nocciole, aromi e vino bianco.

Ovviamente ci sono anche molte zuppe di pesce, dove la più famosa era quella di datteri (oggi proibita), molluschi pregiatissimi che hanno un ciclo riproduttivo lunghissimo, tant’è che si usava dire “ha più anni di un dattero”.

E i dolci? Celebri sono la torta di riso e il tradizionale “buccellato” soffice e leggero, senza dimenticare i biscotti del Lagaccio che prendono il nome da un quartiere di Genova di fronte al porto, e il classico castagnaccio preparato con l’aggiunta di pinoli. Una cucina piena di colore, quella ligure, dove tutto ciò che c’è intorno prende quella nota che ricorda sempre le vacanze; davanti il mare col suo blu profondo, dietro l’aroma della cucina sempre in azione. D

Francesca lezzi

In alto: tipico mercato nei carruggi di Genova Nella presentazione: vigneti dell’Ormeasco, vino rosso tipico di Imperia, dal gusto secco e amarognolo.
Articolo da SPECIALE LIGURIA SEGRETA Bell’Italia

“TUCCU DE NUXE”, SALSA DI NOCI PER CONDIRE I PANSOTTI

Ingredienti: 500 grammi di noci, mezzo spicchio d’aglio, olio d’oliva, mollica di pane, latte cagliato o panna, sale.

Rompere le noci ed estrarne i gherigli, scottarli in acqua bollente per poterli pelare.
Metterli in un mortaio di marmo, insieme alla mollica di pane precedentemente inzuppata nell’acqua e poi strizzata (questa impedisce che la noce formi “olio” e renda la salsa amara). Aggiungere l’aglio e il sale e pestare bene gli ingredienti fino ad amalgamarli e a ottenere una pasta omogenea.
Diluire la salsa con il latte cagliato o la panna usando tre cucchiaiate di olio d’oliva.
Quando i “pansotti” saranno cotti disporre sopra la salsa e abbondante parmigiano grattugiato.
Alcuni aggiungono pinoli e maggiorana. D

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