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Un’estate in montagna Carnia

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Meno gettonata rispetto ad altre aree dell’arco alpino, la Carnia offre splendide opportunità agli amanti dell’escursionismo, accanto a luoghi della memoria, a una  rete di interessanti musei e a numerosi prodotti tradizionali tutti da assaporare.

Testo e foto di Stefano Ardito Rivista PleinAir

A vederla su una mappa, la Carnia sembra una grande mano aperta che si protende dalla pianura friulana verso le Alpi. Il polso è tra Cavazzo Carnico e Tolmezzo, lo storico capoluogo e l’entry point di questa terra. La più occidentale delle dita, la valle del Tagliamento, punta verso le Dolomiti Friulane e il Cadore. La più orientale è il Canale del Ferro, percorso dalla ferrovia e dall’autostrada che salgono verso Tarvisio.

È bene che il paragone si fermi qui, perché se si contano anche le valli minori il numero delle dita può salire fino a sette od otto. Ma la forma della mano è quella: una dopo l’altra, procedendo da ovest verso est, sfilano la Valle di Sauris, difesa in basso da una forra rocciosa, e la Val Pesarina con le sue vette dolomitiche.


In apertura l’ascesa al Creton di Culzei dal Rifugio de Gasperi, gestito da Nino Pravisano (nel dettaglio a destra). Nelle altre
immagini, il Rifugio Mannelli è situato ai piedi del Coglians (di cui vediamo l’anticima): con i suoi 2.780 metri è la vetta più
alta del Friuli Venezia Giulia.

Ci sono poi la valle scavata dal torrente Degano, che sale verso Forni Avoltri e il Coglians, e quella del Bùt che serpeggia verso Zuglio, Paluzza e Timau. Chiudono la sfilata il selvaggio Canale d’Incaroio, ai piedi del mas­siccio del Monte Sernio, e la verde e solitaria Val d’Aupa che si conclude sull’omonimo passo, oltre il quale vi è il centro di Pontebba; queste ultime valli sono percorse da strade strettissime e sinuose, inaccessibili ai camper.

Verso ovest tre passi – Cima Sappada, la Forcella Lavardét e il Passo della Mauria – mettono in comunica­zione la Carnia con il Comelico e il Cadore. Verso nord, invece, il traffico da e per la Carinzia ha attraversato per millenni il Passo di Monte Croce Comelico: accanto alla strada che lo raggiunge dalla pianura friulana sorgono alcuni dei monumenti più interessanti della zona.


Nella foto grande e nei primi due dettagli dall’alto: l’ascesa al Monte Zermula (di cui vediamo un capitello posto lungo il percorso) parte dal
Cason di Lanza, situato sull’omonimo passo e raggiungibile da Pontebba (la strada è però stretta e difficoltosa per i camper). Nel particolare in
basso, il foro romano di Zuglio.

Dai rifugi alle vette Uno dei rifugi più accoglienti del Friuli attende gli escursionisti fra i boschi e le rocce della Val Pesarina. Siamo a 1.770 metri di quota, ai piedi di vette imponenti come il Creton di Clap Grande e il Creton di Culzèi. Dall’altra parte della valle si alzano l’arrotondato Monte Pièltinis, che segna il confine con la valle di Sauris, e il massiccio dolomitico del Tudaio. Il sentiero che sale dal Pian di Casa al Rifugio De Gasperi richiede un paio d’ore di salita: una camminata alla portata di molti, ma con qualche strappo faticoso.

S’inizia con un tratto ripido, poi si prosegue a svolte in una splendida foresta di abeti; un nuovo tratto ripido, in un canalone chiuso da pareti calcaree, conduce a un crinale rivestito dal bosco. Bisogna attraversare una radura, poi una breve rampa in discesa conduce alla porta del rifugio, a un minuscolo campo da bocce e a un bellissimo prato dove riposarsi al sole. Se piove (e in Carnia succede di frequente) le sale rivestite di legno permettono di sedersi a un tavolo per consumare un pasto e ascoltare le storie raccontate dal gestore. Nilo Pravisano, un friulano di pianura, si occupa del rifugio da decenni.

Tra un piatto di formaggio e una polenta, e tra un bicchiere di vino o grappa e il successivo, propone ai visitatori i sentieri, le vie ferrate e le arrampicate delle vette vicine, e racconta la dura storia della Carnia nella Seconda Guerra Mondiale e nei decenni della povertà e dell’emigrazione. Il primo Rifugio De Gasperi, costruito nel 1925 dalla sezione di Tolmezzo del CAI, fu dato alle fiamme nel 1945 dalle truppe d’occupazione cosacche che combattevano per la Germania nazista. Negli scontri morirono tre partigiani locali. Oggi l’edificio, ricostruito dopo il ritorno della pace, ricorda i fratelli Giuseppe, Luigi Calisto e Giovanni Battista De Gasperi: il primo morì nel 1907 sulle rocce della Civetta, gli altri furono inghiottiti dalla Grande Guerra.

La salita al Monte Coglians lungo la via normale; nei dettagli a fronte l’appostamento chiamato Naso delle Mitragliatrici al Passo Monte Croce Carnico e l’interno del museo di Timau dedicato alla Grande Guerra; qui a fianco, una creazione dei Fratelli Solari al Museo dell’Orologeria di Pesariis e uno scorcio del centro storico di Tolmezzo.

Decine di altri rifugi, sui monti della Carnia, offrono piacevoli soste agli appassionati di vette e sentieri. Alcuni, come il Lambertenghi-Romanìn e il Marinelli ai piedi delle pareti del Coglians, hanno le dimensioni dei rifugi delle vicine Dolomiti, e nei weekend dell’estate sono spesso affollati: da qui partono frequentati itinerari come l’impegnativa via normale del Coglians e la passeggiata intorno al Lago di Volaia.

Ai piedi delle Dolomiti Friulane sorge il bel Rifugio Giaf, circondato da alti larici, che si raggiunge in un’ora da Forni di Sopra. L’accogliente Rifugio Tita Piaz, ai piedi del Monte Tinisa, è situato accanto alla tortuosa strada di montagna che collega Ampezzo e la valle del Tagliamento con Sauris: la vicinanza alla pianura lo rende spesso affollato nei mesi estivi. Lo stesso accade alla Casera Pramosio, affacciata su Timau, raggiungibile per una buona strada sterrata che sale a tornanti nella Foresta d’Ampezzo.

Di fronte al rifugio si alzano la Creta di Timau e il Gamspitz. Un sentiero della Grande Guerra sale al Lago di Avostanis, sorvegliato da pareti calcaree percorse da numerose vie di arrampicata. La salita a piedi non richiede più di un’ora ma molti frequentatori della zona preferiscono fermarsi alla Casera, nota per i suoi formaggi e la buona cucina.

Altri rifugi della Carnia offrono agli appassionati di montagne e sentieri la piena immersione nel verde, la malinconia e i silenzi che hanno reso famosa questa terra. Noi abbiamo apprezzato l’atmosfera e la cucina del piccolo Rifugio Grauzaria, tra i boschi della Val d’Aupa: verso l’alto, di fronte alla costruzione, svettano i pilastri rocciosi della Creta Grauzaria, una delle cime più eleganti del Friuli.

Un’altra passeggiata accessibile ai camminatori meno allenati con­duce da Rigolato al Rifugio Chiampizzulon, circondato da magnifici boschi: da qui si apre un bel panorama sulla cresta di confine e sul Coglians. Offrono atmosfere appartate i piccoli rifugi sempre aperti e non gestiti, come il Monte Sernio ai piedi dell’omonima cima e il Vuàlt, tra i boschi della selvaggia Val Alba.

Tra i monti della Carnia mille segni raccontano di secoli di lavoro dell’uo­mo. Chi li vuole conoscere meglio può toccare nelle sue escursioni una delle tante malghe-rifugio. Dal Casòn di Lanza, sull’omonimo passo, suggestivi percorsi conducono verso il roccioso Monte Zermula, che si raggiunge per una ferrata o un sentiero, o le vette e boscose che si alzano sulla frontiera con l’Austria.

Dai Romani al Medioevo Gli ingegneri di Roma antica tracciarono – nella valle del Bùt, e attraverso il Passo di Monte Croce Carnico – la Via Julia Augusta, fondamentale per il commercio transalpino. All’inizio della salita verso il passo nacque la città-piazzaforte di Julium Carnicum, l’odierna Zuglio, strategico avamposto dei romani verso nordest; anche oggi, accanto alle case del borgo, gli scavi mostrano la classica pianta delle città di fondazione romana, identica in ogni parte dell’Impero.

Qui, come nelle altre località della Carnia e del Friuli, a partire dal IV secolo dopo Cristo, la lingua latina dei romani iniziò ad assumere le forme del friulano, oggi rico­nosciuto lingua minoritaria.

Sappiamo che commerciavano nel foro, discutevano nella basilica, pregavano nei templi del centro e dei dintorni. In città convivevano diverse etnie: cami­ci, funzionari arrivati da Roma e mercanti immigrati dall’altra parte delle Alpi. Una visita al Museo Archeologico conferma che gli abitanti utilizzavano ceramiche, vasi e lucerne uguali a quelli del resto dell’Impero.

Quasi a picco sugli scavi di Zuglio, un monumento racconta un’altra pagina della storia locale. L’imponente chiesa gotica di San Pietro, costruita nelle forme attuali nel 1312 (ma all’interno si conservano elementi architettonici più antichi) è la Pieve Matrice della Valle, pleif in friulano, un titolo che deriva dal latino plebs, che significa popolo.

La devozione dei valligiani si mostra il giorno dell’Ascensione (quest’anno celebrata domenica 8 maggio), quando i fedeli dei borghi vicini arrivano in processione per il “Bacio delle croci”, un rito che ha assunto una grande importanza per l’identità della Carnia.

I vessilli delle comunità arrivano ad­dobbati con nastri di seta colorati, che un tempo venivano donati dalle spose. Poi vengono chiamate una alla volta, con la precedenza a quelle che arrivano da lontano. Dopo l’omaggio a San Pietro, le croci vengono disposte in cer­chio, e il celebrante invoca la protezione divina sulle valli.

Tradizione e industria Qualche chilometro a valle della chiesa di San Pietro e di Zuglio, il Museo Carnico delle Arti e Tradizioni Popolari di Tolmezzo racconta altre pagine della storia di queste valli. Il nucleo originario della collezione fu creato da Michele Gortani, paleontologo e poi senatore, grande appassionato della storia della sua terra: a partire I dal 1920, nelle case dei contadini della Carnia, raccolse mobili, vestiti, oggetti di cucina e opere d’arte popolare. Più tardi la collezione fu arricchita dalle donazioni di Gio­vanni Napoleone Pellis e della famiglia Ciceri.

Il risultato è una suggestiva raccolta che racconta la vita delle comunità valligiane e i loro legami culturali con il Veneto, la Carinzia, la pianura del Friuli e la vicina Slovenia.

Una sala è dedicata alle filande di lino e di cotone inau­gurate nel Settecento nelle valli carniche dall’imprenditore Jacopo Linussio, che importava qui le materie prime pro­venienti dalle sue tenute intorno a San Vito al Tagliamento. Un esperimento economico e sociale che ha lasciato un segno come le fabbriche di orologi di Prato Carnico e Pesariis, all’imbocco della Val Pesarina: fondate all’inizio del Settecento, assunsero dimensioni industriali nel 1789-Al contrario dei tessuti gli orologi sono tuttora importanti per la Carnia, come si scopre visitando Pesariis e il suo museo. Uno degli orologi disegnati negli anni Quaranta da Remigio Solari è oggi esposto al Museum of Modern Art di New York.

Memorie di guerra Un secolo fa, tra il maggio del 1915 e il novembre del 1917, sulle valli della Carnia tuonarono i cannoni. Il confine odierno tra la repubblica italiana e quella austriaca ricalca quello di cento anni fa tra il Regno d’Italia e l’Impero di Austria e Ungheria. I fortini e le trincee tagliano più volte la frontiera, e possono essere esplorati seguendo i sentieri segnati dal Cai e dall’Òav, il club alpino austriaco. Intorno al Passo di Volaia, i rifugi austriaci e italiani sorgono a pochi minuti di cammino l’uno dall’altro.

La zona intorno al Passo di Monte Croce Carnico, Plòckenpass in tedesco, fu aspramente contesa per anni: cime e creste sono state assaltate, conquistate, contrattaccate e riprese. Sul versante italiano per anni furono impiegate le “portatrici carniche”, robuste donne valligiane adibite al trasporto di munizioni, materiali vari e vivande verso le prime linee in montagna. Un sistema vietato dalle conven­zioni internazionali, costato la vita a molte di loro; come la trentaduenne Maria Plozner Mentii di Timau, uccisa da un cecchino il 15 febbraio 1916 e oggi considerata il simbolo della loro sofferenza.

Dal 1983 le postazioni dei due eserciti intorno al Passo di Monte Croce sono state restaurate dagli Amici delle Do­lomiti, l’associazione fondata dal viennese Walther Schaumann che ha realizzato in un’area all’aperto il Museo Storico della Grande Guerra. Un altro elegante museo è nato a Kòtschach-Mauthen, sul versante austriaco del Passo. Più semplice è il museo La Zona Carnia nella Grande Guerra ospitato nella vecchia scuola elementare di Timau: dedica ampio spazio alle “portatrici”.

Negli ultimi anni, grazie ad alcuni scrittori locali è tor­nata alla luce la vicenda di Silvio Gaetano Ortis, Giovanni Battista Corradazzi, Basilio Matiz e Angelo Massaro, quattro militari del battaglione Monte Arvenis scelti per decimazione e fucilati a Cercivento non per essersi rifiutati di andare all’attacco, ma per aver suggerito un piano diverso. La loro riabilitazione è stata richiesta da migliaia di uomini e donne in Friuli e nel resto d’Italia.


II lago artificiale di Saurìs, realizzato quasi settant’anni fa; nel mese di luglio la cittadina ospita una grande festa dedicata al suo Prosciutto IGP: in mostra sulle bancarelle anche il miele e i formaggi locali come il Carnia e il Montasio Dop. Qui accanto, il prosciuttificio Wolf apre le porte ai visitatori durante la manifestazione.

Movimento, benessere e sapori Nelle valli più verdi del Friuli c’è spazio per chi vuole fare sport, come dimostra­no le piste da sci di Ravascletto, le rampe dello Zoncolan percorse dal Giro d’Italia e le centinaia di vie tracciate sulle solide rocce del Pal Piccolo e del Monte Avostanis, o quelle più friabili della Creta Grauzaria e della Creta di Aip.

In Carnia si può andare in cerca di salute nelle Terme di Arta, dove si impiegano acque e fanghi già noti ai tempi di Roma antica, per fisioterapia e riabilitazione o per assi­curarsi il benessere attraverso saune, bagni turchi, percorsi Kneipp, talassoterapia e altro ancora.

E poi la Carnia è una terra di sapori. Le preziose piante selvatiche delle valli (sambuco, olivello selvatico, tarassaco) permettono di realizzare infusi e sciroppi mentre con le fragole, i mirtilli e i lamponi si preparano le marmellate. Ottimi e abbondanti i funghi.

Con il latte delle mucche e delle capre che pascolano sui monti si preparano formaggi stagionati come il Carnia Dop e il Montasio, ma anche prodotti freschi come la ricotta affumicata e i caprini. L’elenco dei salumi locali, che in passato venivano prodotti nelle case, include speck, salame e salsicce affumicati, ossocollo, culatello e spalla cotta.

Il clima secco della valle, la legna dei boschi di faggio e l’origine carinziana degli abitanti (testimonianza dalla presen­za di un dialetto tedesco) hanno fatto di Sauris la valle del prosciutto. Nei due salumifici locali, Vecchio Sauris e Wolf, si lavorano carni di maiali italiani, trattate con sale, pepe nero e aglio, affumicate per 72 ore al fuoco di legno di faggio e fatte stagionare a una temperatura tra i 16 e i 22 gradi.

A chi pensa di salire fin quassù e non teme l’allegria e la folla, consigliamo di venire per la festa del prosciutto che quest’anno si svolgerà nel secondo e terzo weekend di luglio (è presente un grande parcheggio per i camper): si possono degustare frico, polenta e altre specialità friulane, bere vino, birra e distillati, visitare gli stand di salumi, ascoltare gruppi rock e altri di musica tradizionale o di liscio; sono anche previste visite guidate nei due stabilimenti.

• Tra le case di Sauris di sotto altre botteghe propongo­no formaggi, tessuti artigianali e manufatti tipici. Qualche banco propone soprattutto lavanda, e qui l’azzurro prende il posto del verde: la Carnia sa sorprendere, sempre.

Note: le foto riportate in questo articolo non corrispondono all’impaginazione e qualità della pubblicazione originale e alcuni dati potrebbero non essere aggiornati.

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