Liguria Parchi di Montemarcello e Porto Venere
Parchi di Montemarcello-Magra e Porto Venere-Palmaria
Microcosmo tirrenico
A piedi e in battello scopriamo due parchi che conservano svariati universi di natura e di storia, collegati da un nuovo itinerario di visita tra mare, fiume e montagna.
da ITINERARI e luoghi – testo di Federica Botta – foto di Alessandro De Rossi, Giorgio Mesturini e Marco Tenucci
Baciccio do Tin, così lo chiamavano” -esordisce Marco, il pittoresco battelliere della linea comunale da Porto Venere all’Isola di Palmaria – “nato povero pescatore e analfabeta, fu un grande navigatore e poi un pirata, venne catturato dai Turchi infine nominato corsaro da Napoleone, che gli offrì il principato dell’isolotto, poco più che uno scoglio. Ne voleva fare una Repubblica Marinara!”.
Ancoretta disegnata sulla pelle abbronzata dell’avambraccio, nella migliore tradizione della marineria, una simpatica serie d’impronte di cucciolo tatuate sul petto, occhi azzurro ghiaccio e il figlio piccolo in braccio, il nostro Capitano, con parole dialettali fuse ad un ligure-italiano molto genovese, ci racconta la strana storia dell’ultimo, originale eroe della zona.
Un esempio di quell’insieme di orgoglio e ironia, storia e leggenda, cosmopolitismo e vita di paesello, che caratterizza questo angolo d’Italia, perennemente in bilico tra mare, montagna, fiume, valle o collina, Liguria e Toscana. Nei pochi chilometri di costa a picco sulle onde che chiudono ai due lati il Golfo di La Spezia, è conservato un piccolo tesoro di varietà ambientale, geologica, storica e archeologica, protetto dal Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra a est e da quello di Porto Venere-Palmaria a ovest, oasi di tutela ai due estremi della baia.
Il Promontorio del Caprione, ad esempio, sul lato orientale, è un emblema delle complessità geologiche: sulla caratteristica formazione della falda ligure si inserisce un insolito affioramento di “autoctono metamorfico apuano”, appartenente al gruppo toscano. In parale più semplici: nel bel mezzo delle rocce vulcaniche rosse, viola e verdi a picco sul mare, tipiche della costa spezzina, emerge Punta Bianca, un grande scoglio di calcari bianchi, simile alle cave di Carrara che si vedono in lontananza.
Giusto alla sua sommità, un Orto Botanico fa invece scuola sulla incredibile varietà di organismi vegetali: non solo macchia mediterranea “a gariga” tipica di zone aride e salmastre, un’intera pineta di pino d’Aleppo e un quercete caducifoglio, ma anche specie rare come il cisto bianco, simbolo del Parco, al suo limite estremo di distribuzione meridionale.
L’Orto delle meraviglie
Ma l’Orto conserva, soprattutto, le memorie delle conoscenze e degli usi tradizionali delle piante locali: con il corbezzolo si preparava la “vinetta”, mescolando le bacche mature all’avanzo dei raspi dei grappoli già spremuti, per ottenere un vino leggermele alcolico; il liquido ottenuto bucando pazientemente con un ago le “galle” causate dalle vespe sul terebinto si dimostra un cicatrizzante eccezionale; le ghiande del leccio possono essere un ottimo surrogato del caffè mentre con la radice ignifuga della stipa si costruivano pipe di ottima fattura.
La resina del pino d’Aleppo di questa rara foresta costiera forniva un antidolorifico e un antibatterico utile soprattutto per le carie e le infezioni della bocca, l’elicriso veniva bruciato per disinfettare le piazze, l’euforbia cespugliosa era usata per pescare, avvelenando l’acqua, le foglie spinose del pungitopo venivano arrotolate sulle gomene delle navi per evitare la salita dei pericolosi roditori.
Nell’Orto delle meraviglie” cresce perfino la salsapariglia che tanto piaceva ai Puffi! E ancora, sotto il Monte c’è il fiume, la Magra che, con tutta la sua flora e fauna da ambiente umido d’acqua dolce e pianura alluvionale, sembra precipitata da un altro pianeta su questo universo di onde e scogliere, dove si arroccano paesini colorati, difesi dagli attacchi dei pirati grazie a interventi miracolosi di polpi giganti che suonano l’allerta con le campane della chiesa, come si narra sia accaduto a Tellaro.
Tino, Tinetto e Palmaria
Dal lato opposto, l’Isola del Tino, antica Tyrus Major, poco più di due chilometri di perimetro, nonostante la sua ben scarsa estensione è un crogiolo di storia, miti e reperti. Il Corsaro Bacicelo non fu certo il primo a sceglierla come dimora: ben 1200 anni prima il martire san Venerio arrivò trasportato da una tempesta, facendo naufragio sulla scogliera dopo aver attraversato il Mediterraneo verso nord nell’evangelizzazione delle coste, e si ritirò in eremitaggio sulla cima dell’isola. La leggenda vuole che, nelle notti di nebbia senza luna, accendesse grandi fuochi per avvisare i naviganti, tanto che oggi è conosciuto come il patrono dei fanalisti e fochisti d’Italia.
Ma non è tutto, se il mito è vero, fu lui a inventare la vela latina, utilizzandola per salvare dalle acque i naufraghi. Nel corso dei secoli, sulla piccola isola, cappelle, chiostri e absidi di pietra nera e bianca furono eretti per ossequiare il culto e la sepoltura del santo. Le rovine degli insediamenti monastici, in parte ricoperti di vegetazione, conservano un’atmosfera splendidamente decadente, dal fascino innegabile.
La Palmaria, l’isola maggiore, appena più grande del Tino, vanta alcune grotte poco accessibili, dove sono stati ritrovati resti preistorici d’insediamenti umani dal Neolitico all’Età del Bronzo, un sistema di forti ottocenteschi praticamente invisibili dal mare, ma suggestivi da visitare da quando sono stati demilitarizzati nel 2005 e dedicati all’educazione ambientale, un “filone” di marmo nero dai riflessi d’oro, famoso per esistere solo qui.
Naturalisticamente parlando la Palmaria è “l’isola del tesoro”: una vegetazione esclusiva di fiordaliso di Portovenere (Cenfaurea veneris) dai fiori rosa intenso; fitti cespugli di ampelodesma, un arbusto dei climi aridi, originario dell’Atlante marocchino e delle coste mauritane, difficile da trovare altrove nel nord Italia; una o, forse, due coppie di falco pellegrino nidificanti. E lo scoglio del Tinetto, giusto per non essere da meno, fa addirittura discutere gli scienziati sulla reale esistenza, sul suo pìccolo territorio, di una lucertola muraiola endemica, la Podarcis muralis tinettoi, differente da quella presente sulla terraferma o persino sul vicinissimo Tino!
Draghi e tarantolini
San Venerio, racconta la leggenda, sconfisse un pericoloso mostro marino che popolava le acque del Golfo, ma un “drago” si nasconde ancora tra le pietre del Tino: è il tarantolino (Euleptes europeae), un geco dal musetto da dinosauro e le zampette adesive, il più minuto della famiglia, appena 6-8 cm da adulto, raro in tutto il resto del territorio ligure e segnalato come “popolazione relitta” sull’Isola del Tino. Durante le visite guidate nel Parco di Porto Venere-Palmaria s’impara a distinguerlo dal geco comune (Talentala mauritanica), presente anch’esso con una colonia ben nutrita.
Guidati dall’occhio esperto dei biologi si noterà la differenza di dimensioni, la forma diversa del muso, della “pelle da drago” e del sistema adesivo delle lamelle sotto i polpastrelli. Frutto di un recentissimo accordo tra il Parco e la Marina Militare, le visite permettono per la prima volta di accedere al Tino durante tutto l’anno. Fino allo scorso anno lo sbarco sull’isola era vietato ai civili ad eccezione dei giorni della Festa di san Venerio, il 13 settembre e la domenica successiva.
L’oro nero del golfo””
Col petrolio non hanno nulla a che vedere, anziché inquinare le acque contribuiscono alla loro purificazione: i mitili – o “muscoli” – sono una delle ricchezze del Golfo di La Spezia, valorizzata dai due parchi per uno sviluppo sostenibile. Gli allevamenti, o “vigne del mare”, iniziarono alla fine dell’800 grazie ad alcuni biologi locali e ad un allevatore tarantino. Le tecniche e i segreti di questo difficile mestiere arrivarono dal profondo sud e ancora oggi gli attrezzi mantengono nomi dialettali pugliesi o napoletani.
La crescita “in cattività” del muscolo è tutt’altro che semplice: in primavera si raccoglie il “seme”, rilasciato in acqua dalle colonie adulte su corde intrecciate lasciate nei “muscolai” quindi s’innesca il piccolo grappolo di muscoli sulle “restie” o “pergole”, trecce di rete che vanno dalla superficie al fondale, appese alle “ventie”, da un palo all’altro.
Periodicamente, mentre il frutto ingrossa, è necessario cambiare il sacco intrecciato che lo contiene. I muscolai di Portovenere, Palmaria e della Diga Foranea di La Spezia, coltivati nelle acqua più limpide del Golfo, sono gestiti da una cooperativa di miticoltori indipendenti che riportano tutto il prodotto allo Stabulatore di Santa Teresa, dove i mitili vengono purificati in acqua arricchita di ozono, per una sicurezza totale. È possibile visitare l’impianto o acquistare i “muscoli” direttamente allo Stabulatore.
Gli itinerari in battello
I due Parchi Naturali Regionali di Montemarcello-Magra e Porto Venere-Palmaria dallo scorso anno si sono gemellati in un’iniziativa che permette la visita in battello di entrambi i territori protetti: percorsi di scoperta, visti dall’acqua, guidati da un esperto biologo, che permettono di unire i paesaggi fluviali a quelli marini della scogliera o delle isole e di scoprirne le peculiarità ambientali, storiche e geologiche. È previsto un calendario di uscite, sia di collegamento tra le due oasi sia di visita al singolo parco. In molte gite è previsto anche un buffet di prodotti tipici o la cena in uno dei ristoranti convenzionati. Le due proposte presentate sono solo un esempio delle numerose possibilità.
Primo itinerario: Parco di Montemarcello-Magra
Punto di partenza e arrivo: Fiumaretta Durata: un pomeriggio
Lasciato il pontile di Fiumaretta, il piccolo “vaporetto”, come viene ancora chiamato sul posto, si dirige sul lato di Bocca di Magra lasciando sfilare il Monastero di Santa Croce del Corvo, ben visibile dopo il recente restauro. Appena in mare aperto ci sovrasta Monte Murlo, dalle rocce colorate, fino a giungere all’inconfondibile Punta Bianca dai candidi calcari. Il battello consente una navigazione molto vicina alla costa, per cui è possibile distinguere le varie emergenze floristiche del Promontorio del Caprione. Passato il Capo si doppia Punta Corvo fino al suo arenile, conosciuto come “gli spiaggioni”. Al ritorno la visita prevede una risalita del fiume Magra fino al ponte dell’autostrada in località Romito, per scoprire gli ambienti fluviali ancora intatti di canneto, saliceto e pioppeto, dove trovano rifugio numerose specie di uccelli (trampolieri, ardeidi, anatidì, limicoli).
Secondo itinerario: Parco di Porto Venere-Palmaria
Punto di partenza e arrivo: Porto Venere Durata: dal pomeriggio alla sera
II periplo dell’Isola Palmaria permette di scoprire dall’acqua i luoghi inaccessibili da terra. Salpati da Porto Venere, superata Cala Carlo Alberto iniziano le ripide falesie della Grotta Azzurra e della Grotta dei Colombi, alcune decine di metri sopra di noi, fresche di ritrovamenti preistorici e visitabili internamente solo con barche a remi. Qui nidifica il gabbiano reale: la guida ambientale ci insegnerà a riconoscere i “pulii” e i giovani di anni diversi dal colore delle penne, mentre con un po’ di fortuna si potranno avvistare le capre selvatiche, una popolazione in crescita che il Parco sta cercando di contenere.
Continuando la circumnavigazione si doppia Capo dell’Isola, con uno splendido scorcio sul Tino e il Tinetto, e si arriva in vista delle cave di marmo portoro e alla spiaggia Pozzale. Oltre Punta della Martella si prosegue verso La Spezia superando lo Scoglio Torre Schola, ultima protezione ottocentesca del Golfo, verso la diga foranea, dove si potrà cenare in battello.
Gli itinerari trekking
Primo itinerario: Parco di Montemarcello-Magra (Promontorio del Caprione)
Punto di partenza: Montemarcello
Punto di arrivo: Punta Corvo
Durata: 1 ora andata in discesa, 1.30 ore risalita
Dal parcheggio del borgo di Montemarcello, che deve il suo nome al console romano Marcelle che qui sconfisse gli indomiti Liguri e costruì un avamposto, s’imbocca il sentiero ben segnalato che segue le mura esterne sul lato del mare. Si attraversa la zona degli orti, quindi si entra in una pineta di pini marittimi e d’Aleppo. Giunti senza grandi dislivelli ad un piazzale ombreggiato, si prende il sentiero ripido subito alla destra del cartellone indicativo: circa 520 scalini scendono a Punta Corvo e al suo arenile, conosciuto come “gli spiaggioni”.
Chi non volesse affrontare la salita di ritorno, nel periodo estivo può rientrare con i battelli che ogni due ore collegano Punta Corvo a Fiumaretta, salendo poi a Montemarcello col servizio autobus ATC. Il sentiero che dal cartellone indicativo prosegue diritto, conduce a mezza costa fino a Bocca di Magra in circa un’ora.
Secondo itinerario: Parco di Montemarcello-Magra (Monte Murlo-Mare)
Punto di partenza: Zanego
Punto di arrivo: Tellaro
Durata: 1.50 ore a/r (escluse soste per le visite)
Da Bocca di Magra si sale a Zanego, dove si può parcheggiare di fronte al ristorante La Brace. Con una digressione di una decina di minuti a piedi si raggiunge l’Orto Botanico (indicazioni; l’itinerario di visita dura circa un’ora). Tornati al parcheggio, attraversata la strada ci s’immette subito sul sentiero che arriva da Montemarcello (lo stesso tracciato dell’itinerario precedente, ma in direzione opposta), scendendo sul selciato tra vecchie case diroccate e splendide ville restaurate.
Il percorso tra le piane ad orti e vigne ormai abbandonate, regala una vista incredibile su tutto il Golfo di La Spezia, da Tellaro sotto la scogliera, alla Palmaria sul lato opposto. Dopo un tratto con fondo di terra, circa 500 scalini scomposti conducono fino alla piazza di Tellaro. Poco prima di arrivare in vista delle prime case, un sentiero ripido a sinistra conduce alla piccola spiaggia del borgo.
Terzo Itinerario: Parco di Porto Venere-Palmaria
Punto di partenza e arrivo: Isola Palmaria, Sbarco di Secco
Durata: 3.50 ore periplo (esclusa traversata in battello)
Da Porto Venere si raggiunge in battello l’Isola Palmaria. Dal porticciolo di Secco si prende a destra il sentiero ben segnato e visibile al bordo della spiaggia Carlo Alberto, che guarda Porto Venere. In poche centinaia di metri il sentiero inizia a salire sulla scogliera, con una splendida vista sulla chiesa dall’altro lato del braccio di mare. Una salita molto ripida, terrosa e cedevole, fortunatamente attrezzata di cime per tenersi e all’ombra del bosco, conduce alla piazzola di un traliccio della corrente elettrica, da dove si prosegue a picco sulla falesia della Grotta Azzurra e della Grotta dei Colombi, non visibili dall’alto, oltrepassando Punta del Pitone.
Arrivati in piano, su uno sterrato, si superano le costruzioni militari di Batteria Semaforo, oggi Centro di Educazione Ambientale e di Forte Cavour, fino al cartellone con la cartina. Di fronte comincia un asfalto che porta alla spiaggia del Terrizzo, vicino alla partenza, con un misto di sterrato, mentre poco più avanti parte la “strada dei condannati”, un sentiero a scalini che conduce sempre alle spiagge affacciate su Portovenere.
Prendendo a destra una traccia poco visibile in mezzo agli alberi dietro al cartellone, un sentiero misto di scalini, abbastanza ombreggiato, conduce a Cala del Pozzale superando vecchie costruzioni dei minatori, alcune gallerie da cui esce aria freschissima e le famose cave di marmo porterò. Giunti alla spiaggia, superato il bar e seguendo le indicazioni si riprende a salire sugli scalini in mezzo al campeggio dell’Aeronautica Militare, tornando in vetta. La strada sterrata che s’incontra, passando a mezza costa in vista del Golfo di La Spezia e dello Scoglio Torre Schola supera il Forte Umberto I, oggi Fortezza del Mare, Cala della Fornace e Punta della Mariella, riportando con un’ultima lunga discesa alla spiaggia del Terrizzo sul versante di Porto Venere.